martedì 16 dicembre 2008

Chiazze rosse

Il suo respiro è la cosa più vicina al silenzio. Si muove tra stracci e scatoloni come un malato di Calcutta. Per due notti a settimana è il padrone della Roma sudicia. Zona stazione Termini.
Non c’è mai tempo per compiere un lavoro preciso. Altri lo faranno per lui all’alba. Raccoglie quello che è fuori, seleziona il materiale di scarto tra quelli già scartati e lo tira dal basso nel cassone sghembo del camioncino.
Sposato, con un figlio, non vede l’ora di farsi sbranare da Miriam, la collega che attacca mezz’ora dopo di lui. Un rito rapido e indolore. Una flebo in vena due volte a settimana, in mezzo al turno, nel deposito di fianco alla Caritas, tra gli scatoloni di vita dei barboni qualche metro più in là.
Quando se la trova innanzi dietro il cestino, comincia a piovere. Il rosso gli ricorda l’ultimo tapis roulant in cui ne ha vista una identica all’aeroporto tra altre decine. Di quelle borse che ti regalano con centomila punti benzina e che stingono alla prima pioggia di una notte di dicembre presa a caso. Lasciando chiazze rosse sull’asfalto.
Con la faccia sciolta sotto il cappuccio arancione della divisa, si guarda intorno, fantasma con lo scheletro zuppo. L’assale il silenzio abitato da qualcosa di pericoloso, innescato e pronto a saltare. Qualcosa che solo una valigia rossa abbandonata alla stazione centrale di Roma può conservare. E che lui dovrebbe caricare sul cassone mascherata da spazzatura. Dimenticandosi la moderna era criminale e ricordando che Roma non sarà mai colpita da un attentato, “C’è il Vaticano, qui”.
La voce di lei squarcia la pioggia: «Che fai stasera, ci pensi su? Dai, che ho voglia di te» gli grida Miriam sporgendosi dal finestrino del camioncino sopraggiunto «Finisco il giro a Piazza della Repubblica, t’aspetto al deposito».
Lui accenna un sorriso innaffiato, segue i fanalini di coda fin dietro l’angolo. Un tuono lo desta del tutto. Raccoglie le scatole, gli stracci e i sacchi con i guanti zuppi. Si chiude la portiera addosso e innesta la marcia. Morirà sì, ma non stanotte con una valigia rossa in grembo.

Seduti sulla panca negli spogliatoi di fianco al deposito, lei si arrampica su di lui, vorace. Le tute in terra allargano una pozza d’acqua sul pavimento. Non pensa a nulla, ascolta il suono del temporale contro le vetrate della sala fredda. Lei si dà da fare col viso nascosto dai lunghi capelli bagnati. Si sente scomodo come Bush in una passeggiata per le vie di Baghdad. Poi la vede e capisce.
«Mì, ma quella valigia dove l’hai presa?»
«Ah sì… l’ho trovata a Repubblica. Volevo vedere che c’era dentro... Pesa un quintale, c’ha un lucchetto» ravviandosi i capelli.
Il tuono della consapevolezza lo devasta ancor prima dell’esplosione di quella e delle trenta valigie sparse nella capitale.
A Piazza della Repubblica un nottambulo coi piedi in una chiazza rossa guarda Roma nel fragore che sprofonda. Non sa di essere vivo per miracolo.

domenica 7 dicembre 2008

La donna che si scioglieva nella pioggia

Very Minimal People Anthology - AA. VV. (Ibiskos Editrice Risolo, Dicembre 2008)
Pag. 169 e segg. "La donna che si scioglieva nella pioggia" di Riccardo Sorrentino
Presentato alla 7ma Fiera del Libro "PiùlibriPiùliberi", Eur - Roma

La prima volta la vide a cinque anni. Era caduto dalla bici sbucciandosi le ginocchia e lacerando la tuta che la mamma gli aveva regalato. Solo in cortile, aveva perso l’equilibrio. Lei arrivò e lo aiutò a tirarsi su. Esaminò la ferita ed il danno alla stoffa. Gli sorrise carezzandogli la testa e lo rassicurò, muta dea del silenzio. Poi alzò lo sguardo al cielo, ascoltò il tuono e lo salutò, scomparendo. Lui prese a singhiozzare mentre le gocce di pioggia precipitavano sul primo trauma della sua vita. A sciogliere le ferite senza riparo.
A dieci anni, quando rischiò di annegare insieme alla sua compagna di banco, lei lo aspettava sul bagnasciuga. Gli cinse il collo col braccio mentre i tre uomini cercavano di rianimare la bambina. Tra le lacrime le chiese ‘Chi sei?’. Un lampo squarciò il cielo grigio di fine agosto e lei si allontanò rapida, stampandogli un bacio in fronte. Lui si scordò di quel momento e lo chiuse dentro la bara insieme alla sua infanzia sciolta nella ceralacca della poesia che aveva scritto per la bambina.
A ventun anni perse il controllo della macchina del papà oltre il guardrail. Si rianimò con due costole rotte, il viso segnato e la fidanzata con la testa fracassata. Fu lei a tirarlo fuori e a chiamare i soccorsi. Muta, gli steccò una gamba prima che le nuvole facessero rotolare giù le loro emozioni. Scomparve nella pioggia senza lasciare spiegazioni da dare ai dottori su chi gli avesse salvato la vita e immobilizzato una gamba. Con l’adolescenza che si scioglieva.
A trentaquattro anni entrò in casa, di ritorno dal suo primo congresso oltreoceano. Socchiuse la porta del salotto prima di sentire le voci nella stanza da letto. Si risparmiò lo spettacolo penoso e recuperò la valigia appena posata. Quando scese la trovò ad aspettarlo. ‘Chi sei?’ le chiese. Lei gli consegnò una chiave ed un indirizzo dove poter passare i mesi successivi. Scomparve e lui rimase a fissare il suo matrimonio che si scioglieva sotto la pioggia timida di una mezzanotte qualunque.
La rivide a cinquantanove anni, dopo aver perso l’azienda ospedaliera che gli aveva consegnato fama e ricchezza. Lo aspettava all’uscita della stazione, muta ed immobile. Lo abbracciò sotto la pensilina dei taxi come in attesa da anni. ‘Chi sei?’ riuscì a dire. Lei si infilò un cappello in testa e girò rapida l’angolo, poco prima dell’alluvione che colpì la sua carriera, ormai sciolta nel tombino sotto i piedi.
Il mare non gli sembrava più quello di tanto tempo prima. Lo rimirava, a ottantatrè anni, stando in piedi oltre le dune di sabbia. In una mano l’ombrello ed il sacchetto della cena. Nessuno gliela cucinava più da tanto tempo. Lei arrivò alle sue spalle. Puntuale come sempre, prima dei momenti di pioggia della sua vita in cui si era sciolto senza riparo. Si mise al suo fianco, le braccia sul muretto, al di qua dell’orizzonte carico di pioggia. Lui disse solo: ‘L’ho portato, finalmente’. Lei gli sorrise, muta come sempre. ‘Rimarrai vero?’ ed aprì l’ombrello. Si strinse a lui e la pioggia venne giù.
Poi si sciolsero insieme.

[Il racconto è apparso la prima volta il 28 aprile 2008 sull'old blog]

lunedì 1 dicembre 2008

Lavanderia a gettoni

Entra e cambia alla cassa dieci euro. Il neon illumina il vestito elegante e il sacco nero che porta, simile ai body bags per i cadaveri dei soldati americani. Raccoglie venti monete nei palmi e s’incammina verso l’oblò più nascosto. C’è acqua ovunque intorno, rumorosa. Sotto le sue scarpe, a chiazze. Fuori, cadono brandelli di cielo.
Poggia il sacco sulla lavatrice industriale, ne sfila il contenuto e raggruppa tutto nel cestello. Mette dentro le monete e imposta il programma. Dalla vetrata vede il trucco pesante del quartiere. Assieme alla pioggia, il vento scuote la strada: il cinema porno, la locanda notturna, il motel a ore. La vita dove si è rifugiato da quattro mesi.
Sbircia dietro l’angolo il cassiere seduto a gambe incrociate, i-pod nelle orecchie e rivista in mano. Il rito si consuma regolare: inizia a sfilarsi la maglietta, a slacciarsi la cintura. Appoggia mutande e pantaloni sulla panca e infila le monete nella lavatrice accanto a quella usata per i vestiti. Come un giocatore alla slot machine, imposta il programma per “delicati” e si infila nudo nel tubo.
Lo fa una volta alla settimana. Da quando è in attesa. Dall’istante in cui l’oncologo gli ha concesso quattro mesi, neanche fosse Dio. Perché tutti abbiamo una scadenza sul retro. Senza la possibilità di leggerla. Tumore ai polmoni la sua. La data, una sentenza passata in giudicato: “è oggi” s’è ripetuto all’alba.
E allora prova a se stesso che è ancora in grado di respirare. Per strada, di corsa, sott’acqua. Solo che il mare gli fa paura. Sceglie per brevi istanti un tunnel buio e vorticoso in cui affogare a piccoli tratti. Rimane lì dentro ad affannarsi per dieci minuti sapendo che non esiste un’altra possibilità. Che una vita, spesso, non basta a se stessa, pur se scossa da una centrifuga a gettoni. Che sta per uscire il numero che altri hanno puntato per lui.
Rien ne va plus, quando il cielo perde un pezzo scintillante sulla magnolia al centro della città. Il blackout spegne gli orologi alle 11 e 45 e blocca la pallina della roulette insieme alle lavatrici piene d’acqua. Realizzando la profezia di un oncologo.