martedì 1 dicembre 2009

Passeggeri

Parlami delle tue mani che hanno sempre accarezzato lacrime e sorrisi.
Parlami del tuo cuore e dei suoi battiti.
Portami agli anni che corrono per strade senza curve.
Parlami di ciò che vuoi, lasciami vedere negli occhi un lago pieno di barchette.
Raccontami di quando, tornando dalla fontana, il secchio, pieno di vita, ride.
(Federico Tavan)

La immagina dentro lo schermo del suo portatile da mesi, la conosce dentro un agosto caldissimo.
Si ferma sotto il portone dove lei gli ha dato appuntamento, spegnendo il motore e tirando il freno a mano per essere sicuro di non filare via. La strada fino a lì era nel tuttocittà nella pancia dello sportello.
Lei lo vede per la prima volta dal vivo dopo mille parole scritte e una sola telefonata. Dal balcone lo scruta fermarsi e inizia a scendere le scale. Quando si sistema sul sedile, lui pensa che il motore della macchina stia perdendo qualche colpo. Ma è spento mentre il vuoto di un precipizio si va invece creando. Lei è l’emozione più nuda che lui abbia mai avuto. Abbronzata con le gambe che finiscono da qualche parte sotto il sedile, si toglie i sandali. Un segno di intimità che lui traduce nella lingua di altrettanti gesti, stropicciandole le guance con le dita, prima di baciarla. Per la prima volta, quasi subito. Lei si appoggia al suo petto. Nasconde il viso tra il collo e la spalla di lui, come se avesse finalmente trovato un posto da non perdere. Gli sfiora la bocca con l’indice, disegna il profilo con un’unghia. Lui unisce i nei sulle gambe magre, sotto l’orlo della gonna. L’abitacolo è il loro respiro impressionato e sconosciuto. I sedili slittano sotto i finestrini aperti mentre la luce della canicola riverbera sull’asfalto. E quello sembra l’unico posto dove stare a diciott’anni.
Quando si congeda, l’ultima cosa che le guarda sono le gambe senza vederle finire anche stavolta, da dietro lo sportello. Le fa cenno con la mano, gira la macchina e sbraccia nell’aria.
Lei rimane a piedi uniti a fissarlo, sotto l’ombra del palazzo di lato.
Lui gira l’angolo e non tira le marce. Non ha mai avuto bisogno di farlo. Percorre la discesa pensando che potrebbe scendere a patti con qualsiasi futuro pur di averla ancora accanto a sé, passeggera del suo stesso volo. Attraversa l’incrocio col semaforo lampeggiante appeso e non vede il camioncino impazzito che sopraggiunge di lato.
Lei muove un passo verso il portone di casa. Sente un rumore lontano tra il silenzio improvviso delle cicale, rapido come un lieve presagio. Alza la testa, bevendo il cielo con gli occhi, sorride. Pensa all’estate che è davvero cominciata. Riflette sui momenti piccoli, i più belli della vita, che la tengono lì. Aggrappata al mondo, pronta al decollo.

sabato 21 novembre 2009

Qualificazioni



Antologia Aperta (Edizioni del Calatino, Ottobre 2009)
Pag. 24 e segg. "Qualificazioni" di Riccardo Sorrentino

Tutto si muoveva tra il letto, la finestra e il televisore con la partita muta. La luce pomeridiana attraversava le foglie dell’oleandro in giardino e la inquadrava sul letto con un timido occhio di bue di pulviscolo. Nuda, distesa con le gambe divaricate. Ancora sporca del seme di lui immobile alla finestra a guardare il tramonto estivo senza vederlo, al piano terra. In una Roma che di caldo non voleva saperne neanche a giugno.
«Mi ami?» gli aveva chiesto.
«Credo di sì»
«Non ne sei convinto?»
«Sì, ma è tutto troppo complicato» aveva proseguito.
Nudo, si sdraiò tra le gambe affusolate di lei. Le passò un tovagliolo perchè si pulisse. Rimase a guardarla: gli piaceva pensare al sapore dei sudori mescolati. Le toccò i capelli all’altezza dell’orecchio. Le raccolse dietro quelli che si era persa davanti.
«Che le dirai di oggi pomeriggio? Dove hai visto la partita?» gettando il fazzoletto sul pavimento e prendendone un altro dalle sue dita.
«Non lo so. Inventerò qualcosa. Anche un amico» mentre le disegnava il bacino col dito, lì dove c’era il segno bianco del costume.
«Non voglio che te ne vada da questa casa» gli disse guardandolo negli occhi.
«Tuo marito sarà qui stanotte e mia moglie mi aspetta per l’ora di cena. E’ troppo complicato quello che vogliamo, oltre questa partita». Le parole cominciarono a riempire il vuoto della testa, quello che ti lascia l’amore, subito dopo.
«Forse hai qualche unghiata sulla schiena. Fammi vedere» girandolo e mettendosi a cavalcioni sopra. «Mi fa impazzire la tua schiena»
Urla strozzate arrivarono dalle case intorno. L’Italia aveva segnato il gol più importante, nell’ultimo giorno disponibile per l’accesso agli ottavi. Lui guardava la televisione col mento sul materasso, le mani di lei sulle spalle. Dallo specchio le vedeva di traverso i seni sodi, l’incrocio sporgente delle clavicole celato tra i capelli. Fremendo, ancora.
«Ce la farà a qualificarsi?» gli chiese mentre gli massaggiava coi polpastrelli le scapole.
«Spero di sì perché avremmo anche gli eventuali supplementari la prossima volta» le rispose.
Suo marito si era fermato all’aeroporto appena sceso dall’aereo, di ritorno dal convegno: per non perdersi la qualificazione, aveva detto. Al novantesimo non ci sarebbe stato più tempo nemmeno per loro. Neanche per la doccia.
«Avrei voglia di fare l’amore con te in uno stadio» gli disse. Lui si girò supino tenendole le mani nei palmi aperti, sentendo ancora l’odore del sesso. Se la sarebbe impressa così, negli occhi. Si era sempre chiesto che cosa avrebbe fatto di sua moglie quando avesse incontrato la donna giusta.
«Aspetta di sapere se ci qualifichiamo prima» sorridendo.
Si alzò e si lavò. Lei non lo perse mai di vista, rimanendo nuda al suo fianco. La baciò sulla porta senza convenevoli, per non rischiare di perdersi di nuovo, dentro.
Scese le scale e decine di urla festose dalle finestre lo colsero con l’accendino in mano. Sembrava che l’amore avesse i minuti contati, ma restava un sacco di tempo.

[Il racconto è apparso sull'old blog il 17 giugno 2008]

lunedì 26 ottobre 2009

IC533


In treno - AA. VV. (LAB - Giulio Perrone Editore, Ottobre 2009)
Pag. 202 e segg. "IC533" di Riccardo Sorrentino
Presentato al "Simposio", San Lorenzo - Roma

Appoggiato al trolley aspettava di entrare. Scomodo nel corridoio del treno, stazione di Pisa. Le tre compagne che Trenitalia gli aveva estratto a sorte sistemavano il loro mondo imbustato sui portapacchi. Due si ritrovarono di fronte con lo stesso libro tra le mani, segnalibri in punti diversi.
Aveva scritto i suoi due romanzi sotto pseudonimo femminile: Gabrielle R. Mai rilasciato interviste o partecipato a presentazioni. Aveva vinto senza mai cedere alla celebrità. Tre persone al mondo conoscevano il suo vero nome e ciò che faceva. Non erano quelle tre accanto a lui. Si rilassò.
«Anche tu?» fece la bionda divertita.
«La adoro in maniera assoluta lei» fece la castana «Dopo il primo, questo l’ho preso ieri appena uscito. Non ho resistito» continuò.
«Come ci riconosce è pazzesco. E poi le storie…» la bionda in sospensione.
«E la scena di intimità del primo libro, quella tra Miriam e Lorenzo? Pazzesca viverla leggendola». Ricordava. L’aveva scritta alle tre di notte sulla tazza dopo un attacco senza appello di dissenteria. Quando gli spasmi si calmano e l’indecisione di perderti qualcosa appena ti alzi ti fa sedere ancora.
«Bè, se qui vai avanti… dove sei arrivata?… Storia pazzesca… che solo a pensarla…». Ricordava. L’aveva immaginata una notte, mentre un amico gli reggeva la testa dopo aver vomitato. L’aveva vista così chiaramente che doveva essere scritta, nel dopo sbornia. Un anno dopo era ieri, la data d’uscita del suo secondo romanzo, sicuro best seller.
La terza donna ormai ascoltava curiosa. Avrebbe iniziato a leggere dal primo volume. Appena scesa.
Gabrielle R. si guardò i vestiti da uomo, come dovesse scoprirsi la patta aperta o la camicia fuori posto. Macchè. Tutta stima. Sorrise al vetro fatto di pioggia e tirò fuori il libro che aveva appena comprato. Le tre lo guardarono impietose. Non si poteva comprare quella roba. Accavallò le gambe e prese a leggere. Almeno quella zozzeria non l’aveva scritta lui.


[Il racconto era apparso sull'old blog il 31 marzo 2008]

lunedì 10 agosto 2009

Intanto

Così è come deve andare. Arriva con il caldo al posto del freddo l’ultimo capodanno dell’umanità, segno che il sentiero ordinato delle cose è già interrotto da qualche parte. Giunge in anticipo di dieci giorni, ma non inatteso. La Terra è ferma da settantadue ore. La giostra riprenderà la corsa in senso contrario invertendo gli equilibri di un pianeta spopolato.
Tutti accorrono al botteghino a pagare l’ultimo biglietto per vedersi morire. A mezzanotte tutto quello che si conosce sarà perso in una lancetta d’orologio, da nord a sud. Scomparso come in un gioco da prestigiatore.
V. è con gli amici di una vita ed una bottiglia di vino semivuota. Suda mentre ricorda a se stesso che c’è gente intorno: il conto della sua esistenza non è pari a zero. Ansima di caldo nonostante sia immobile da mesi aspettando una qualunque guerra per uscire di trincea urlando, con un fucile scarico ed un nemico che non arriverà nemmeno stavolta. Nonostante tutti stiano attendendo la fine del mondo con le luci accese e i telefoni che squillano ovunque per sentire se ancora c’è vita nella bocca di chi si conosce.
L’ultimo tg che vede, sullo sfondo, rammenta che in Russia e in Giappone è già chiusa la partita, dato il fuso anticipato. Le telecamere lasciate accese inquadrano piazze deserte: chi c’era, già non c’è più. Il mondo perde persone come foglie che si staccano dagli alberi.
Ci vuole solo un minuto per scomparire, ma molto di più per salutarsi, a quanto pare. Il party dura da ore. V. ha dato un bacio alla mamma, chiamato quei tre amici all’estero che scompariranno dopo di lui, indossato il casco per l’ultima corsa in moto, giungendo qui. Ha perso per strada il coraggio di chiamarla. Non sa nemmeno dove sia in questo momento. Conoscendola potrebbe essere a Wellington dove solo tra dodici ore il destino si compirà. E avere l’ennesimo vantaggio su di lui.
E’ appena trascorso il giorno ad Atene, Belgrado e Bucarest. La prossima capitale è Roma: le telecamere incorniciano ora Piazza del Popolo. La gente euforica e disperata brinda e piange, mancano sessanta minuti. Non ci sono desideri o fuochi d’artificio pronti. Una vecchia tra le lacrime stringe i nipoti come a sussurrare loro che la sofferenza è già stata tanta e che il passaggio sarà indolore.
V. non guarda le lacrime e non sente il chiasso della festa televisiva. La vede passare dietro la telecamera. Non fanno in tempo a chiamarlo. A dirgli: “E’ G.”.
E’ andato, in sella al ricordo della vita che ha buttato. Ha un istante per trovarla, ma non sarà meno di quello che ha avuto per perderla, solo sei mesi fa. Il vento in faccia increspa la consapevolezza che è l’ultima volta per stringerla in quei pochi minuti di notte che restano. E corre. Incurante del traffico, delle luci e dei terrazzi illuminati di chiasso. Vola consapevole di quello che non sa. S’innalza come l’unica onda in una baia col mare fermo da mesi.
Tra il parcheggio e gli occhi di lei ci sono dieci minuti in cui tutto precipita addosso: i ricordi, le parole dell’ultima volta perse nei mesi lontani e quell’unica che ha a disposizione per strattonarla via di lì: «Vieni!».
Lei viene che ancora non è finita, come quella goccia che non è pioggia, ma eccola lì. Sfila come una stella cadente che non fa male quando si spegne negli occhi di chi desidera. Arriva nell’unico posto che è stato solo loro. Quando più in alto del terrazzo del vecchio appartamento c’è solo il tetto di tegole sconnesse. In una notte a metà, V. aiuta G. a salire e le rotola dietro. Scomodi a guardare le luci che rimarranno a consumarsi anche dopo che sarà scomparso chi le ha accese. Che colorano il futuro imminente di V. e G. che si stringono prima di dissolversi. Da vicino si urla all’ultimo minuto di un cielo che stringe, di un’afa che strangola.
V. si tocca il polso.
Lei dice: «Che fai?»
«Ti amo»
«No, con la mano sul polso»
La bacia scivolandole dentro con la lingua. Le urla intorno s’innalzano dai vicoli, dagli appartamenti, viaggiano per l’ultima corsa sulla tangenziale vicina. E come arrivano se ne vanno. Gesti e frasi fuori tempo massimo, a bordo ring, pesti.
G. si stacca dalle braccia di lui: «E’ già finita?». Sposta i capelli, si gira, osserva le finestre vuote, le case immobili.
«Sì» fa lui, non credendo che avrebbe funzionato.
«Ma come? E noi? Siamo sempre qui?»
«Noi ci godiamo questo minuto in più. L’unico che ho potuto rubare spostando la lancetta dell’orologio indietro»
Lei gli sorride nel silenzio. Gli accarezza il viso. Alza spesso lo sguardo, lo fissa. Per non perderlo. Per perdersi. Pensa che sono una foto in bianco e in nero. Nero della notte, bianco della luce dei lampioni. Pensa che basta non voltarsi, non accettare un orizzonte. Credersi infiniti, insieme. Pensa che sono in ritardo per il cielo e che c’è futuro anche se non sa cosa ci sarà dentro. Ma venga avanti e si prenda tutto, passato e presente. Non importa, sia quel che sia, purchè esista, da qualche parte.
Intanto non ci sono già più.

martedì 3 marzo 2009

Qualcosa da bere

«Qualcosa da bere?» aveva chiesto l’hostess con voce nervosa.
«Whisky», aveva risposto.
Gliene aveva portato un bicchiere pieno fino all’orlo.
Aveva capito. Si erano guardati per un secondo e aveva compreso.
Poi era arrivata la voce del pilota: quella che, in partenza o in arrivo, non capisci mai cosa dica. Più simile a scariche statiche nel microfono che a raucedine. «Tra pochi minuti finiremo il carburante e cadremo. Proverò un atterraggio di emergenza. Farò il possibile, avviate la procedura». Lo disse in italiano, lo ripeté in inglese. Stavolta si era compreso tutto, oltre al fatto che non ci fosse più scampo. I viaggiatori, diligenti, rimasero ad ascoltare il rumore dei motori prima che si spegnessero del tutto. Nessun panico, nessuna isteria collettiva. Sembrava che nessuno respirasse più per non consumare quei pochi minuti che rimanevano all’impatto.
Fabio Cenciotti avviò la procedura di emergenza. Tracannò il whisky, indossò quello che c’era da indossare, assunse la posizione consigliata rannicchiandosi sul sedile. Non pregò e non pianse. Non decise di fare un’ultima telefonata col telefono satellitare, non mandò un ultimo sms dal suo cellulare spento nella tasca del giaccone.
Rimase al suo posto come era stato per buona parte della sua esistenza, senza protestare. Non ebbe paura, non rivide la sua vita in un secondo, ma pensò a quella domenica di tanto tempo prima e alla voce in quel microfono che la cercava. Per l’ultima volta, senza più trovarla: "La signora Cenciotti è attesa dal marito all’entrata del centro commerciale… La signora Cenciotti è attesa dal marito all’entrata del centro commerciale".
Era un giorno in cui solo alzarsi presto ti pacificava, ancor prima di vedere il sole. Uno di quelli in cui puoi solo immaginare di salire in alta quota, fissare la velocità di crociera e inserire il pilota automatico. Nonostante ci fosse tutto da fare e nella casa in cui erano non avessero ancora nulla. Persino il rumore delle serrande sbobinate provocava turbamento col rimbombo. C’erano loro però, tutto il resto sarebbe stato scelto quel giorno.
Era sceso, aveva liberato il portabagagli per fare posto a ciò che avrebbero preso per arredare la loro vita insieme e lei era giunta con gli occhiali da sole, il cappotto nero e quel sorriso stentato del primo mattino.
Entrati, al reparto librerie, gli aveva appoggiato un bacio su una guancia, sfiorato il petto e sussurrato che andava in bagno. E così se n’era andata, di schiena, tra mille altre schiene. Lasciandolo con un depliant in mano e una matita con cui segnare in una griglia tutte le cose che non s’era portata via dopo tre anni. In compenso gli aveva regalato un microfono dentro cui cercarla tra centinaia di altre donne in un centro commerciale, una casa in affitto vuota dentro, i libri che avevano letto e le fotografie scattate e mai attaccate. Aveva atteso qualcuno che venisse a prendere la sua roba, senza dare spiegazioni, senza che lui ne chiedesse, ma non venne nessuno. Dopo tre mesi mise tutto in uno scatolone, il depliant, la griglia mezza scritta, la matita in cima, e chiuse l’ultima porta del corridoio buio in cui si era perso.
Si prese un’aspettativa di sei mesi, ritirò tutto dal conto in banca, subaffittò la casa vuota e come un eroe fradicio e sconfitto, di quelli che hanno combattuto per qualcosa di superfluo e giusto, si avviò all’aeroporto.
Non si perse mai, ma nemmeno si ritrovò. Tra Bogotà, Malindi, New York, Cape Town e decine di città che solo il suo passaporto conosceva, viaggiò controvento, senza mai protestare, venendo a patti con qualsiasi futuro.
L’aveva amata e sognata a memoria ancora a lungo. Un ritratto copiato dalla stessa foto ogni giorno, per mesi, poi, girata l’immagine, mentre continui a disegnare, i capelli si diradano, le labbra si assottigliano e i colori sbiadiscono, col ricordo in testa che si secca, inevitabile.
L’aveva sostituita in mille altri modi, non uno che non facesse male o che non lasciasse amarezza. Ma non l’aveva mai più cercata.
Era lì, rannicchiato e al buio, in attesa di precipitare, l’aereo pronto a scintillare, slabbrandosi all’impatto, e immaginò la dea della fine col suo viso, così chiaro adesso.
Sentì i motori spegnersi, prima uno, poi l’altro. Perse quota, lì, dove il silenzio non fa rumore, prima della fine di tutto. Vedeva Key West dall’oblò, con le sue case ricavate dai naufragi: ammarare sarebbe stato troppo, come scegliere quella libreria tanto tempo prima.
Udì la voce del pilota. Quella che, in partenza o in arrivo, non capisci mai cosa dica.


[Il racconto ha partecipato al Concorso "Born to Write" rientrando tra i finalisti ed è stato pubblicato domenica 31 maggio 2009 tra le pagine de "L'Informazione di Parma"]

venerdì 27 febbraio 2009

Fotografie

Se un giorno (Freaks Edizioni, Marzo 2010)
Pag. 171 e segg. "Fotografie" di Riccardo Sorrentino


Lo sai cosa vedi da queste parti, quando siedi alla finestra e guardi fuori? Niente.
Lui non aveva visto niente per tre anni in quell’appartamento sulla strada. Allora aveva deciso che invece di fermarsi al vetro sarebbe andato fuori.
Vendette la casa grande a Rimini, estrema periferia, e ne prese una piccola col giardino, sul lungomare. Dove sedere, in attesa, ma almeno all’aperto.
Giaceva spalle al muro nel patio, con la luce della lampada ad illuminare le assi di legno e i piedi nudi nel buio estivo. Settantatrè anni, due figli sposati e lontani come note dell’orchestra blues che suona nella palestra accanto il venerdì sera, una moglie che russa oltre la parete, l’insonnia che gli sorride con una fotografia in mano. L’aveva trovata il pomeriggio, in uno dei suoi lanci paracadutati in soffitta e nel passato.
«Giovanni che fai?»
Lui non si girò e continuò a fissare l’immagine.
«Russavi troppo, mi hai svegliato. Sono venuto a prendere una boccata d’aria»
«Non puoi stare qui con questa umidità. Non hai più vent’anni. Vieni dentro»
Non si mosse.
«Lo sai. Ogni sera la stessa storia. Potremo solo mai finirla di ripetere le stesse frasi?»
«Fai come credi, ma la prossima volta che hai qualcosa, ti metto il letto fuori così non rompi le scatole a me coi tuoi acciacchi da vecchio»
«Siamo vecchi Ele, fattene una ragione»
«Io lo so, sei tu che non te ne ricordi. Sempre a guardare quelle vecchie foto. Hai voluto un giardino, guarda fuori invece che dentro… nel passato. Chiama i tuoi figli ed esci coi tuoi nipoti invece di stare a marcire la notte su quelle assi più vecchie di te. A settant’anni te ne sei andato lontano come non hai fatto a venti. Che cavolo ti dirà quella testa…»
Giovanni spostò la foto da una mano all’altra. Si passò la lingua sulle labbra secche. Non si mosse più.
«Fa’ come credi. Io me ne torno a russare!» svolazzando oltre la soglia.
In realtà non comprese come stava lì, col culo al fresco e il passato tra le mani.
A dire il vero non capì nemmeno perché gli avevano riconsegnato intatto quel ritratto di loro due tanto tempo prima. E non ricordò nemmeno chi fosse quel fotografo che riprese quell’istante. Sedevano ad un tavolo. Lui aveva ancora un sacco di capelli, sopracciglia come sipari neri, camicia e cravatta, una birra, il sorriso largo. Lei un cappello bianco enorme, con il nastro, gli occhi accesi e un’orzata. Luce alle spalle, avventori distratti. L’incontro fra due complici che hanno rubato una barca insieme, nella notte, per fuggire lontano, ma si sono travolti appena saliti, pasticciando gambe e mani, e non si sono mai mossi, scovati all’alba dal proprietario, e adesso ne ridono. Avrebbe potuto essere diverso, forse meraviglioso, mai come è stato raccontarselo sulla soglia dell’infinito, tra una birra, un’orzata e gli scatti di uno che ci vede dentro una magia: quella di aver accettato il tempo e il destino, avvicinare le teste e riderne insieme. E poi un passo, per renderli testimoni oltre che protagonisti: consegnargli la stampa fresca di una foto su cui alitare cinquant'anni, ancora un po’, per fissarla per sempre.
Ritrovarla in una notte d’agosto, lontana mille mondi, e ammetterne la possibilità.


[Questo racconto ha vinto il Concorso "Se un giorno" indetto dalla Freaks Edizioni nel mese di Febbraio 2010 e pubblicato dalla medesima Casa Editrice]

mercoledì 28 gennaio 2009

Prayer

E’ tra la Broadway e la Houston. Alle 2 di notte nemmeno il ciondolare ubriaco gli dà calore. Piove dai cornicioni dei palazzi, da una settimana. A quell’incrocio si è lasciato mille mondi alle spalle, solo qualche ora prima. E’ ritornato fin qui non per rinascere, ma per continuare a vivere. Tutto quello che sa è probabilmente quello che ha.
Si appoggia al muro bagnato, alza lo sguardo. Si lascia scivolare per terra, pantaloni e scarpe zuppe. Tira fuori dalla tasca della giacca il blackberry e inizia la sua preghiera.

“Dear Susan, se stai leggendo questa mail vuol dire che ho trovato il coraggio di spedirtela.
Quindi, buon per me.
Non mi conosci molto bene, ma se me ne dessi l’occasione inizierei a raccontarti per ore ed ore quanto sia difficile per me scrivere.
Ma questa… questa è la cosa più difficile che io abbia mai dovuto scrivere.
Non esiste un modo semplice per dirlo, quindi lo dirò e basta.
Ho incontrato una persona. E’ stato un caso. Non la stavo cercando, non ero a caccia. E’ stata la tempesta perfetta. Lei ha detto una cosa, io un’altra. E all’improvviso volevo passare il resto della mia vita a fare quella conversazione.
Ora ho questa sensazione nello stomaco e non sono gli alcolici che ho bevuto stasera.
Potrebbe essere lei quella giusta.
E’ completamente pazza, in un modo che mi fa sorridere. E’ nevrotica e casinista. C’è molto da sopportare.
Quella persona sei tu, Susan. Ecco la buona notizia.
La brutta è che non so come fare per stare con te. E questo mi spaventa a morte.
Perché se in questo momento non sono con te, ho la sensazione che non staremo mai più insieme.
Il mondo è enorme, cattivo, pieno di svolte e cambiamenti. E le persone a volte si distraggono e perdono l’attimo. L’attimo che avrebbe potuto cambiare tutto.
Non so cosa succederà tra di noi e non so spiegarti perché dovresti perdere tempo con uno come me, magari all’angolo tra la Broadway e la Houston dove ti ho salutato.
Ma, cazzo, profumi di buono. Di casa. E sai anche cucinare, no? Quello conterà pur qualcosa!
Call me.

Per poco tuo,
Ralph”

Il display pieno di gocce gli illumina il viso di una luce azzurra. La sua notte, ora, è un temporale di tosse nel petto. Un taxi gli suona dalla strada, ansioso.
Alza lo sguardo perché c’è ancora vita intorno. Ma la conosce troppo bene per fidarsene.
Il tizio sceso dalla macchina gli punta alla gola il coltello e gli strappa il cellulare dalle mani.
Urla: «No!» con gli occhi segnati. Non spinge ‘SEND’, non fa in tempo.
La sua preghiera corre lontano. A piedi, da qualche parte nella notte.

giovedì 1 gennaio 2009

Per ricordare una parte del 2008...

I FILM 2008 E I MIEI OSCAR

TOP



THE BEST





LISTA COMPLETA
Irina Palm - Il talento di una donna inglese **½
Lussuria - Seduzione e tradimento ***
I am legend ****-
Bianco e nero ***
American gangster ***½
La ragazza del lago ***++
Into the wild ****-
Sogni e delitti ***
Non è mai troppo tardi ***-
Caos calmo ****-
Non è un paese per vecchi ****
Il mattino ha l'oro in bocca ***½
Onora il padre e la madre ****½
27 volte in bianco **
La guerra di Charlie Wilson ***½
Tutta la vita davanti ***
Il petroliere **½
Next ***+
Riprendimi ****
L'ultima missione ***
Lezioni di felicità *
Prospettive di un delitto ***½
Lars e una ragazza tutta sua ***½
10 cose di noi **
Interview **½
Il treno per il Darjeeling **½
Scusa se ti chiamo amore **
In Bruges - La coscienza dell'assassino ***½
La sposa fantasma **
Gomorra ****-
Il Divo ****
Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo ***-
SMS - Sotto mentite spoglie **½
E venne il giorno **
Once ****½
L'incredibile Hulk ***
La notte non aspetta ***
Quando tutto cambia ***+
Wanted ***½
Boris (14 episodi) ***½
Il cavaliere oscuro ***½
Boris 2 (14 episodi) ***½
Tutti i numeri del sesso **
Gli scorpioni **
Gone baby gone ***½
Elizabethtown ***
Noi due sconosciuti ***½
Nella rete del serial killer **
Oxford murders **½
Tutti a casa ***½
Un giorno perfetto ***½
Al di là della vita ****-
Il papà di Giovanna ***½
Californication 1st season (12 episodi)***½
Hancock ***-
The air I breathe **½
After burn reading ***
Sfida senza regole **½
The hurt locker ***+
Vicky Cristina Barcelona ****-
La classe **
The mist ***
Tropic Thunder ***
Lezioni di cioccolato **½
Sidney ***
Wall-E ***½
The burning plain ****½
La banda Baader Meinhof ***-
Nessuna verità ***
Chi nasce tondo **
The millionaire ***½
Ultimatum alla terra **½
Come Dio comanda ***½
L'ospite inatteso ***
88 minuti ***
Il cosmo sul comò *
Smoking aces ***½
Sex List - Omicidio a tre **½


____ Totale films: 78



LE MOSTRE 2008

MOMA (NYC)****
Guggenheim (NYC)***
Metropolitan Museum (NYC)****
American Museum of Natural History (NYC)**
National Geographic (Palazzo Esposizioni) ***
Photoshow 2008 (Nuova fiera di Roma) ***
La finestra di fronte (Palazzo Esposizioni) *
Picasso (Vittoriano) **


____ Totale mostre: 8


I CONCERTI 2008

KarmaKaul (Aristoclub) ***
Paolo Benvegnù (Circolo degli Artisti) ****½
Vasco Rossi (Stadio Olimpico) ****
Rigenera (360°) ***
Giuliano palma & the Bluebeathers ***½
Ligabue (Stadio Olimpico) ****
Jo Bohnsack (Umbria Jazz) **
Keisha Jackson & The Soul Spinner (Umbria Jazz) ***


____ Totale concerti: 8


TEATRO 2008

Meglio zitelle (Teatro Petrolini) ***½
Chicago (Broadway) ***½


____ Totale spettacoli: 2


NEL CASSETTO 2008


La scimmia pensa, la scimmia fa - C. Palahniuk ***½
Non ci sono santi - G. Romagnoli ***
Bonus tracks - Scrittori italiani per Rolling Stone - AA. VV. ***
Cavie - C. Palahniuk ***
Il vizio dell'amore - G. Romagnoli ****-
Come Dio comanda - N. Ammaniti ***½
Non avevo capito niente - D. De Silva ***½
Me parlare bello un giorno - D. Sedaris **
Solo i treni hanno la strada segnata - G. Romagnoli ****+
Dai un bacio a chi vuoi tu - G. Marchetta ***-
Duma Key - S. King ***½
La camera azzurra - G. Simenon ***½
Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro - E. Brizzi ***½
La neve se ne frega - L. Ligabue ***
La donna di scorta - D. De Silva **½
Gang bang - C. Palahniuk ***½
Navi in bottiglia - G. Romagnoli ****
L'unico al mondo - G. Romagnoli ***+


____ Totale libri: 18


CITIES 2008


New York *****


____ Totale città: 1