giovedì 29 dicembre 2011

Labirinti

Ha iniziato per caso. Su di un foglio di carta, tra i banchi di scuola, ha tratteggiato in blu il primo groviglio della sua vita. Senza bisogno del filo si è ritrovato qualche mese più tardi in una piccola scatola di cartone. Lì ha alzato pareti con listelli di legno ed una colla scaduta. Alla fine dell’intrico si è scoperto nella sua casa al mare, anni dopo. A sistemare pareti di carton gesso per far giocare la sua bambina in giardino.

Costruisce labirinti di professione. Per divertire i ricchi che ne vogliono uno nelle loro ville. Per i set cinematografici in allestimento e per i luna park. Ha fatto la sua fortuna sulla voglia di perdersi di ognuno. Senza impronte o cartine tra le mani. Si entra e si esce. Spesso da dove si arriva solo per la paura di andare.

Da cinque giorni è tra i percorsi che ha progettato per oltre un anno. In silenzio, nella sua opera definitiva. All’interno dell’hangar affittato per i suoi lavori, ha fatto sistemare il suo ultimo labirinto. Quello della fama sconsiderata.

Oltre cento camion hanno sparso sabbia per due mesi sul fondo del capannone. Decine di tecnici hanno montato le migliaia di pareti del progetto. Ha chiuso tutti fuori, acceso le luci dello stabilimento ed è entrato. Unico aiuto la sabbia sotto i suoi piedi, segnata con le impronte che avanzano ad ogni passo. Faticose e circospette, per tornare indietro ed arrendersi, se ce ne fosse bisogno.

Cammina ora come un futuro che non si è mai avverato. Impiegando più tempo di quello che aveva immaginato dentro il labirinto. Quello in cui ha riversato tutte le paure e i fallimenti, cercando di snidarli e risolverli. Per una volta nella vita pensando a definire le sue scelte e non viceversa. Sapendo che tra poco, oltre l’impronta che non c’è, fuori dal groviglio, apparirà il senso di quello che si è fatto. Il senso che gli diamo.