Se un giorno (Freaks Edizioni, Marzo 2010)
Pag. 171 e segg. "Fotografie" di Riccardo Sorrentino
Lo sai cosa vedi da queste parti, quando siedi alla finestra e guardi fuori? Niente.
Lui non aveva visto niente per tre anni in quell’appartamento sulla strada. Allora aveva deciso che invece di fermarsi al vetro sarebbe andato fuori.
Vendette la casa grande a Rimini, estrema periferia, e ne prese una piccola col giardino, sul lungomare. Dove sedere, in attesa, ma almeno all’aperto.
Giaceva spalle al muro nel patio, con la luce della lampada ad illuminare le assi di legno e i piedi nudi nel buio estivo. Settantatrè anni, due figli sposati e lontani come note dell’orchestra blues che suona nella palestra accanto il venerdì sera, una moglie che russa oltre la parete, l’insonnia che gli sorride con una fotografia in mano. L’aveva trovata il pomeriggio, in uno dei suoi lanci paracadutati in soffitta e nel passato.
«Giovanni che fai?»
Lui non si girò e continuò a fissare l’immagine.
«Russavi troppo, mi hai svegliato. Sono venuto a prendere una boccata d’aria»
«Non puoi stare qui con questa umidità. Non hai più vent’anni. Vieni dentro»
Non si mosse.
«Lo sai. Ogni sera la stessa storia. Potremo solo mai finirla di ripetere le stesse frasi?»
«Fai come credi, ma la prossima volta che hai qualcosa, ti metto il letto fuori così non rompi le scatole a me coi tuoi acciacchi da vecchio»
«Siamo vecchi Ele, fattene una ragione»
«Io lo so, sei tu che non te ne ricordi. Sempre a guardare quelle vecchie foto. Hai voluto un giardino, guarda fuori invece che dentro… nel passato. Chiama i tuoi figli ed esci coi tuoi nipoti invece di stare a marcire la notte su quelle assi più vecchie di te. A settant’anni te ne sei andato lontano come non hai fatto a venti. Che cavolo ti dirà quella testa…»
Giovanni spostò la foto da una mano all’altra. Si passò la lingua sulle labbra secche. Non si mosse più.
«Fa’ come credi. Io me ne torno a russare!» svolazzando oltre la soglia.
In realtà non comprese come stava lì, col culo al fresco e il passato tra le mani.
A dire il vero non capì nemmeno perché gli avevano riconsegnato intatto quel ritratto di loro due tanto tempo prima. E non ricordò nemmeno chi fosse quel fotografo che riprese quell’istante. Sedevano ad un tavolo. Lui aveva ancora un sacco di capelli, sopracciglia come sipari neri, camicia e cravatta, una birra, il sorriso largo. Lei un cappello bianco enorme, con il nastro, gli occhi accesi e un’orzata. Luce alle spalle, avventori distratti. L’incontro fra due complici che hanno rubato una barca insieme, nella notte, per fuggire lontano, ma si sono travolti appena saliti, pasticciando gambe e mani, e non si sono mai mossi, scovati all’alba dal proprietario, e adesso ne ridono. Avrebbe potuto essere diverso, forse meraviglioso, mai come è stato raccontarselo sulla soglia dell’infinito, tra una birra, un’orzata e gli scatti di uno che ci vede dentro una magia: quella di aver accettato il tempo e il destino, avvicinare le teste e riderne insieme. E poi un passo, per renderli testimoni oltre che protagonisti: consegnargli la stampa fresca di una foto su cui alitare cinquant'anni, ancora un po’, per fissarla per sempre.
Ritrovarla in una notte d’agosto, lontana mille mondi, e ammetterne la possibilità.
[Questo racconto ha vinto il Concorso "Se un giorno" indetto dalla Freaks Edizioni nel mese di Febbraio 2010 e pubblicato dalla medesima Casa Editrice]