Perché non ti siedi a fianco a lui,
gli dai di gomito e gli sussurri che una volta era così anche per te, dentro
quei vestiti presi a caso? Solo quindici anni fa, il libro, l’abbonamento della
metro e la donna al telefono, sempre la stessa. Mostragli chi sarà, fagli la
recensione del film della vita che reciterà. Togli lui la folle felicità del
lanciatore di coltelli cieco.
Spiegagli che una lei, da sola, può
portargli via tutto. E raccontagli anche di non fermarsi disperato dopo che se
ne sarà andata. Digli di quante ne vedrà passare dai finestrini bagnati dei
treni, da oblò di navi in partenza salpate di corsa. Illustragli che un
dibattito non sono rutti tra amici, ma che quelli almeno divertono rispetto ai
discorsi che sei costretto a fare ora.
E portalo giù, lui che vola tutti i
giorni verso i propri sogni, tu che l’hai fatto una sola volta nell’ultimo anno
e t’hanno legato ad una flebo per riacciuffarti dall’overdose. Prendilo a
schiaffi se ora la sua disperazione risiede nel minuto dopo un esame andato
male. Diglielo che la tua dura da una vita ormai. E non provare a piangere. Non
adesso che hai trovato te stesso e non è troppo tardi, forse. Parlaci.
Guarda, ti sta fissando. Eccolo. Ti
ha riconosciuto come hai fatto tu appena è entrato nel vagone. Con gli occhi
indica un punto nel futuro. Te: lui tra quindici anni. Dai, prima che scenda…
ora che ce l’hai ad un palmo…
«Michele»
«Prego?»
«Niente, stavo solo cercando… qualcuno»