Esce
ravviandosi i capelli. Attenta a non sorridere troppo, gli fa l’occhiolino,
muovendo le dita a saluto fugace e sensuale.
Lui
rimane seduto sul corrimano, attaccato alla parete dell’ascensore. I pantaloni
slacciati e la camicia penzolante.
L’ha
masturbato al 36esimo piano. “Pressroom”
indica la targhetta sulla pulsantiera. Pullulante di fotografi e giornalisti durante
il giorno, alle 4 di notte solo due figure scomposte che si salutano nel buio.
Senza
lasciare tracce se n’è andata in bagno, perdendosi nel piano. Lui non ha
intenzione di aspettare, spinge il pulsante e riscende.
Il
guardiano all’entrata lo lascia passare, ferma un taxi e sale. Direzione
Tribeca.
Il
buio in casa gli restituisce la sagoma di lei sul letto. Il respiro regolare e
il profumo della pelle. Congeda la baby-sitter che dorme sul divano con la tv
ancora accesa e le regala 50 dollari in più. La doccia lo attende, calda e
scrosciante.
Quando
s’infila nel letto, la sveglia del giorno prima suona. La zittisce con un colpo
secco e si gira dall’altra parte. Sente socchiudere la porta. Lei entra e si
sdraia accanto. Lui la tiene stretta, baciandole i capelli che sanno del
balsamo della sera prima.
«Papà»
fa lei.
«Dimmi
amore» le sussurra all’orecchio.
«Sono
felice per la gita di domani, lo sai? La maestra ha detto che possiamo fare le
foto. Mi presti una delle macchinette?» gli domanda.
«Certo
tesoro, domani mattina la scegli. Magari una di quelle piccoline, va bene?».
Lei annuisce nel silenzio.
«Ho
paura a salire così in alto, papà»
«Dall’Empire
vedrai tutta New York amore mio. Ci sarà solo tanto vento»
«No,
ho paura dell’ascensore, papà»
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