Al
24’ del primo tempo un tifoso dà di gomito all’amico: «Ma quanto stanno?».
Quello sputa il fumo dalla bocca insieme alla cicca e dice: «Non lo so. Non me
lo ricordo». La domanda si insinua come una hola
tra gli spalti ed il rumore sale. Il tabellone oscurato dalla pubblicità, non
risolve l’enigma. Guardando l’impeto dei giocatori viene da pensare che tutti
stiano perdendo. Tanto a poco, forse. Qualcuno decide di ascoltare la radio, ma
i più non ricordano il nome delle squadre in campo. I calciatori attaccano nel
disinteresse. Chi invia sms reclamando conoscenza, non sa che scrivere nemmeno
con l’abbonamento alla mano. Con le sciarpe e le bandiere addosso si cerca di
comprendere per chi urlare. Pur non ricordando il motivo dell’orgasmo. Chi
rinuncia con pudore, saluta il vicino e promette di venirne a capo presto: «Ci
si vede alla prossima». Il gol di una squadra viene accolto dal silenzio
generale. Tifosi interdetti si siedono sperando che l’amico accanto gli dica di
bestemmiare, almeno. Ma nessuno sa altro: alla fine del primo tempo ci si
conosce ai bar parlando di cinema.
La
notizia si diffonde rapida. I presidenti delle squadre in tribuna leggono il
comunicato congiunto: “Non c’è altro, non
c’è futuro, non c’è vittoria”. Chi lascia l’abbonamento prima del tornello,
ha in regalo un accendino sequestrato. Quelli delle televisioni riprendono la
valanga che vuota lo stadio mentre i giocatori sono già sui pullman con l’i-pod
nelle orecchie e la carriera nei panni sporchi per l’ultimo lavaggio.
Al
90’ di una partita che ha scordato un tifoso digita il numero di casa dal
cellulare: «Tesoro, sto tornando. Ti porto a cena fuori». La moglie chiude la
tv. Dentro ali di sole di un pomeriggio estivo indossa il vestito di seta. Raccoglie
i capelli davanti allo specchio in una domenica che aveva dimenticato.
Profondo e surreale, ben scritto, mi ha colpito. Bravo! Ale Ceci
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