lunedì 9 gennaio 2012

Me muero


Io non mi ero mai veramente innamorata di un uomo, ma mi sono innamorata di lui. Già quella mattina, credo. Tra Los Lobos e Aguilas, quando il traffico non ci ha lasciato alternative. E quella canzone impazzava alla radio, nella macchina.
Facevo colazione sempre nello stesso posto. Lui la fece con me quella mattina. E ancora per un po’, dopo. I lavori in corso mi costringevano ad alzarmi un’ora prima, a stropicciarmi il tailleur sul sedile e a sfilarmi i sabot in macchina già dopo dieci minuti. Insofferente come tutti nelle auto intorno. Fermi a sentirsi immobili, quando si ha voglia solo di andare.
Dopo la coda lenta sulla statale, il caso lo ha fatto fermare al mio stesso autogrill. Me lo sono ritrovato di fianco al bancone del bar. Tra churros e caffè. Gli ho sussurrato “Gracias” la prima volta, senza dirgli più niente poi. Mi aveva passato lo zucchero, senza guardarmi veramente. Lo avevo fissato di nuovo, riconoscendolo, senza muovermi veramente. Ho sperato più volte di dirgli altro, ma non ci sono mai riuscita. Mangiava di fretta, ripartiva dal piazzale e se ne andava sotto il sole d’agosto. Lasciandomi lì. Ogni giorno appesa al bancone, a fissare il vuoto. Crollavo in macchina e ripartivo verso l’ufficio.
Alla fine ho trovato il coraggio, dopo dieci giorni. Gli ho detto «Café?», precedendolo, euro alla mano. Tra lo stupore della cassiera ed il suo, ha detto di sì. Non abbiamo fatto più colazione.

La stanza era sempre la stessa, di fianco al bar. L’appuntamento fisso, alle otto. Chi primo arrivava con la sua macchina, pagava alla cassa, ritirava la chiave ed aspettava l’altro sotto le lenzuola. Senza mai aspettare tanto, mai fino in fondo. Per la prima volta, avevo voglia di sentire un uomo dappertutto. Senza sosta. E lui mi ha dato tutto ciò che desideravo. Sempre fino alle nove, solo dal lunedì al venerdì. Mai al di fuori di quella stanza. Dopo esserci assopiti, ci rivestivamo, riconsegnavamo le chiavi e ripartivamo verso la vita di quel nostro mese d’agosto. Sempre su due macchine diverse. Nessun numero di telefono, due nomi da single, una stanza sulla strada per Cabo Cope ed un appuntamento rinnovato di continuo. E’ andata avanti fino alla fine di settembre.

Una domenica le mie amiche han fermato la macchina sullo stesso piazzale dei miei incontri settimanali. La spiaggia ci attendeva qualche chilometro più in là. Ho fatto colazione come non capitava da un po’, evitando di pagare alla cassa e bevendo il caffé col cappellino calato sulla fronte, sguardo attento e divertito che nessuno riconosceva. Lei aveva un frangetta bionda e due figli che portava al bagno lamentandosi con qualcuno, poco distante. Quando è entrato ho provato quel sussulto di ogni mattina e della prima volta che l’ho visto. Fremito sconosciuto dal finestrino della macchina con una canzone nella testa ed un agosto ancora tutto da finire. Non che avessi mai chiesto se avesse una famiglia, non che ci fosse bisogno di saperlo.
Mi sono alzata, con la borsa più pesante, gli occhiali scuri indosso. Sono andata in bagno passandogli alle spalle, senza che mi notasse.
Lì ho finto di lavarmi le mani, con calma. Assaporando la scena familiare dallo specchio. Due bambini deliziosi, un maschio e la femmina più grande. Lei identica al papà, stessi occhi che faranno impazzire qualcuno un giorno. Me li immaginavo insieme, a passeggio sotto casa, da qualche parte, padre e figlia alla conquista del mondo. Bellissimi, che contrabbandavano la passione con l’affetto. Spesso.
Mi sono girata e le ho detto: «Ha una sigaretta da offrirmi?». Ha sorriso e me ne ha data una, mentre rivestiva il più piccolo. «Grazie di tutto» l’ho salutata uscendo dalla porta. Senza che capisse, ho atteso le altre in macchina.

Il giorno dopo ho preso due espressi al bar, assieme alla chiave. L’ho visto arrivare nel piazzale e gli sono andata incontro. Ho sentito le sue mani addosso già prima di entrare o di rendermi conto che sapevamo di caffè in bocca. L’ho sentito in fondo, fino allo spasimo. «Me muero» gli ho detto quasi soffocando. Quando l’adrenalina si è sciolta, sopraffatta dal sonnifero che gli avevo messo nel caffè, ho acceso la sigaretta del giorno prima, poggiandola sulle lenzuola gualcite. Vicino al corpo nudo che dormiva. Sono salita in macchina. Alzando il volume del cd sulla statale, ho ascoltato la canzone come fosse quella mattina. Quando mi sono innamorata.

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